L’ultima zampata - GIGI PIRAS

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L’ultima zampata

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L'ultima zampata: «Un mio gol eliminò la Juve in Coppa Italia»
L’ultima zampata: «Un mio gol eliminò la Juve in Coppa Italia»
Lunedì 04 agosto 2003
L’ultima zampata: «Un mio gol eliminò la Juve in Coppa Italia»
Ci sono volti che ti restano dentro, che niente e nessuno possono sradicare dall’anima di un tifoso verace. Gigi Piras, negli anni Ottanta, è stato il simbolo di un Cagliari che non ti aspetti, dopo la crisi della Sir di Rovelli, della Grande Industria, dopo la fine del sogno rossoblù di stare appresso a Juventus, Inter e Milan sino alla fine del mondo.
Ora c’è la  GialetoIn campo, un centinaio di gol segnati con Cagliari e La Palma sono un biglietto da visita di tutto rispetto; la carriera in panchina, invece, non è mai decollata come lo spessore del personaggio avrebbe meritato. Gigi Piras ha fatto una scelta: «Quest’anno allenerò la  Gialeto». In Promozione, campionato tranquillo «che mi permetterà di tenere d’occhio il mio Tocco Magico». Che poi, da quando ha appeso le scarpette al chiodo, è la stamperia che manda avanti assieme ai suoi fratelli nella zona industriale di Settimo. Maglie, palloni, adesivi, gadget, striscioni e bandiere: «Forse, per la prima di campionato del Cagliari a Tempio, prepareremo una sorpresa». Di più il bomber di Selargius non dice. Preferisce raccontare il suo passato, i suoi gol e qualche aneddoto, che non manca dopo una vita passata a correre dietro un pallone. Ha lasciato la squadra della sua città, tristemente piombata in Eccellenza dopo un decennio ad alti livelli in serie D, «perché ho bisogno di nuovi stimoli». E poi a Serramanna dovrebbero tenergli gli argentini Mhamed e Pooli, che in Promozione valgono quanto Crespo e Camoranesi in serie A.
Cagliari nel cuoreÈ inutile negarlo: Gigi Piras è stato un idolo dei tifosi, l’ultima bandiera rossoblù. In Sardegna e non solo. Parlare dei gol del capitano, che nel suo piccolo ha onorato la maglia dell’irraggiungibile Riva, mette ancora oggi di buon umore gli emigrati a Torino, Milano, Monza, Genova. Proprio a loro, Gigi Piras ha fatto l’ultimo regalo di una carriera che avrebbe potuto essere ancora più splendente. Torino, stadio Comunale, anno 1987: quarti di finale di Coppa Italia. «Eravamo praticamente retrocessi in serie C1, ma in Coppa avevamo fatto strada. Tra noi e la semifinale contro il Napoli di Maradona c’era di mezzo soltanto la Juventus. All’andata, in un Sant’Elia gremito da cinquantamila spettatori, era finita uno a uno grazie a un gol del nostro terzino, Marco Marchi. Al ritorno, contro Tacconi, Boniek e Platini, ci davano per spacciati senza troppi giri di parole. Invece la Juve di Marchesi non ci mise paura. Andò in vantaggio, pareggiammo con Bergamaschi. Poi segnarono di nuovo loro e io, che quel giorno ero nero perché volevo esserci, perché non potevo perdere l’occasione di giocare un’ultima volta contro la Juve e perché Giagnoni preferì tenermi in panchina, non vedevo l’ora di tornare negli spogliatoi. A venti minuti dal termine della partita l’allenatore mi disse di scaldarmi: la gente, in curva, appena mi vide iniziare gli esercizi di riscaldamento, esplose un boato che diventò assordante al mio ingresso in campo. Quel giorno non potevo non segnare: toccai tre palloni, tirai una volta in porta. Ma bastò: quel tiro, sporco, ciabattato, rabbioso, mandò in visibilio i nostri tifosi, quasi diecimila. Ricordo la gioia che provai nel correre verso la curva dei sardi, l’esultanza spontanea, l’urlo liberatorio della gente che per una notte avevamo fatto sentire più forte dei campionissimi bianconeri. La mia carriera nel Cagliari, di fatto, finisce quel giorno». In realtà, sempre quell’anno, qualche partita dopo, il 17 maggio, un suo gol al Genoa tenne la squadra in corsa per la salvezza: «Eravamo sotto di due gol in casa con i Grifoni», dice Piras. «Giagnoni si arrabbiò tantissimo perché la squadra non reagiva: lasciò la panchina tra lo stupore generale. Subito dopo segnò Valentini, poi pareggiai io. In C andammo lo stesso, ma con l’onore delle armi. Quell’anno eravamo partiti con cinque punti di penalizzazione per la presunta combine di Perugia, due stagioni prima. Un’annata storta, avrei voluto chiudere con un successo la mia esperienza in rossoblù». L’ultimo gol di Gigi Piras con la maglia del Cagliari è datato 7 giugno 1987: Cagliari-Pisa 2-1. Il secondo gol lo segnò Pecoraro, che poi diventò una bandiera ad Ancona.
La carrieraClasse 1954, Gigi Piras muove i primi calci nell’oratorio Don Orione, stesso campo dove si è fatto notare, da bambino, Emiliano Melis. «A proposito, spero per lui che la Torres sia la scelta giusta. Conosco bene Emiliano, so quanto vale: non posso che seguirlo con simpatia e fargli i miei più cari auguri». A quindici anni Gigi Piras è titolare nel Selargius, poi la chiamata del Cagliari: «Mi volle Mario Tiddia, nelle giovanili. Con lui, nel 1979, ho ottenuto la promozione in serie A». Da allora la maglia rossoblù gli è restata incollata sulla pelle: «Occasioni per andare via ne ho avuto tante: mi hanno cercato, e in alcuni casi era praticamente fatta, la  Sampdoria, il Genoa, il Napoli, il Catania e l’Ancona. Ma, alla fine, dopo quasi vent’anni nel giro del Cagliari, non sono mai riuscito ad andare via. È sempre stato più forte di me, anche davanti a offerte molto convenienti».
I campionati con Virdis e SelvaggiVerso la fine degli anni Settanta Gigi Piras forma con Virdis il duo d’attacco più forte della serie B. Nel campionato 1976/’77 segnano in due ventotto reti: è l’epoca in cui furoreggia il duo Pulici-Graziani nel Toro dei miracoli. Virdis finirà alla Juve, Piras giocherà un’altra decina d’anni per il Cagliari. I “gemelli” sardi si ritroveranno in rossoblù, e in serie A, nel campionato 1980/’81, quello del sesto posto con Tiddia. A completare il tridente c’è Selvaggi, acquistato dal Taranto. «Due grandi giocatori, che accanto a me hanno segnato tanti gol», dice Gigi Piras. «Virdis è stato discusso fin troppo, qualcuno diceva che non era adatto per un grosso club: ha sempre segnato gol a grappoli ed è stato capocannoniere nel Milan campione d’Italia guidato da Arrigo Sacchi». E Selvaggi? «Sarebbe stato un fuoriclasse, non solo un campione, se oltre alla classe avesse avuto meno paura nei contrasti. Non ha fatto parte della Nazionale campione del Mondo nel 1982 per caso».
Uribe e la fatale AscoliL’avventura in serie A dell’attaccante di Selargius finisce a un anno dalla conclusione della presidenza Amarugi. «Andammo fortissimo nel girone di ritorno, avevamo Uribe, talento peruviano, ma anche Malizia e Vavassori. Ad Ascoli, contro i bianconeri di Mazzone, perdemmo l’ultima di campionato, dopo aver dilapidato un considerevole vantaggio sulle concorrenti per la salvezza. Quel Cagliari è stata l’unica squadra che, nei campionati a sedici squadre, è retrocessa con 26 punti. È stato il momento più brutto della mia carriera».
Il gol più esaltanteGigi Piras ha fatto gol a tutti i più grandi portieri del suo tempo. Leggende come Zoff («sono riuscito a segnargli due reti nel mio ultimo campionato in A»), Castellini il Giaguaro
, Galli, Tancredi, Bordon. Proprio a quest’ultimo, portiere dell’Inter, il 14 gennaio del 1982, segnò due reti a San Siro: «Lo stadio più emozionante per un giocatore», dice il bomber. «Ricordo con gioia quel giorno perché al Meazza avevano appena sistemato i tabelloni luminosi: vedere il mio nome lampeggiare nella Scala del calcio fu un’emozione unica». Anche perché era un Cagliari dai nomi strani: Lamagni, Azzali, Longobucco, Quagliozzi. Operai del pallone e «vere bandiere del Cagliari». Il gol più strano? «L’ho segnato a Zinetti, quando giocava in B nel Bologna, al Sant’Elia. Spinsi il pallone in rete di basso ventre: un giornale mi ribattezzò il Pube de Oro».
Il suo calcioI miliardi, negli anni Settanta e Ottanta, non erano ancora il carburante del calcio. «L’ingaggio più alto che ho percepito con il Cagliari è stato di 110 milioni. Per carità, all’epoca era una cifra discreta, anche considerando che il presidente del Catania, Massimino, è arrivato a offrirmi il doppio. Ma oggi avrei senz’altro guadagnato di più». Il calcio non è più quello d’una volta. E non è, in questo caso, una frase fatta: «Senza guardare al calcio dei miliardi, nei campionati dilettantistici c’è gente che cambia squadra perché certi presidenti offrono ingaggi da quaranta milioni. Oggi il pallone e tutto ciò che ruota attorno ad esso è un’industria».
Il caso Catania«Mai e poi mai, ai miei tempi, si sarebbe verificato un “caso” come quello scatenato dalla squadra etnea per ottenere la riammissione in serie B. Eppure mi risulta che la clausola compromissoria, cioè l’accettazione incondizionata delle leggi sportive rispetto a quelle ordinarie, esista ancora. Che il calcio stia esplodendo si capisce anche da questi avvenimenti».
Gigi Piras e la politicaL’allenatore-imprenditore non nasconde le sue idee politiche: «Ragazzi, sono amico di tutti. Ma nasco centrista e continuo a esserlo: quando avevo vent’anni sono stato candidato con la  Dc a Selargius. Qualche anno fa, il sindaco in carica all’epoca, Tonino Melis, mi ha offerto la possibilità di entrare nella sua Giunta: assessore tecnico allo Sport. Ho accettato volentieri. In due anni ho cercato di dare il massimo, credo di aver contribuito a migliorare molti impianti. Sono entrato in Municipio che non sapevo cosa fosse una delibera: quando ho chiuso, nel 1998, l’esperienza da assessore, credo di non aver deluso le aspettative della gente».
Gigi Piras oggi è un distinto signore di 48 anni. Fa l’imprenditore, da quest’anno allenerà la Gialeto. Ma, dipendesse da lui, correrebbe ancora dietro a un pallone.
Lorenzo Piras
 
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